Di Paolo Ceccato
Periodicamente, nella piccola via in cui alloggio, si forma una fila di persone per la distribuzione di pacchi alimentari. Esse attendono, in ordine e silenzio, il loro turno, ritirano il pacco e quindi lo caricano sulle loro auto; i più aggiornati aprono il portellone con la sola imposizione del piede, sotto il paraurti, come negli spot.
Le auto, tutte simili e nuove e di media cilindrata, intasano sovente la via, occupando stalli e marciapiedi, fino a rendere difficoltoso il passaggio.
Quel che si forma è uno spettacolo che non smette mai di meravigliarmi. Perché quelle persone in fila non sono poveri, bensì sono, da un certo punto di vita, i nuovi ricchi: i dipendenti di una grande multinazionale che regolarmente erige questo carosello che pubblicamente premia col cibo l’impegno dei propri lavoratori. La diligente fila di persone, il cibo come ricompensa e il parco auto: in questa composizione c’è l’aspetto meraviglioso: i tre elementi centrali di un evento promozionale offerto al pubblico, cioè a tutti coloro che, non lavorando nella multinazionale, sono esclusi dal pacco alimentare, ovvero dalla gratificazione del cibo.
Quelle file in attesa di cibo, le ricordo davanti alle mense aperte per gli indigenti. Qui l’immagine è la medesima, ma il suo significato è rovesciato: i poveri non sono coloro che formano la fila, ma gli altri, cioè coloro che non sono in fila per ricevere il cibo gratuito. Principio di esclusione (dall’albero della Cuccagna).
Cronache riferiscono che nel 1487, a Bologna, Giovanni II Bentivoglio, Signore della città, per celebrare il matrimonio della figlia, organizzò un pranzo, come dire, pantagruelico. A rendere memorabile l’evento fu che tutte le portate, prima di essere servite in tavola, vennero fatte sfilare ed esibite sulla pubblica piazza, affinché il popolo, più o meno affamato, “vedesse tanta magnificenza”. Una vera e propria ostensione del cibo che, come simbolo di potere eretto ai non invitati alla mensa del signore, fu tra gli ingredienti che insaporì le pietanze servite e degustate.
La storia del cibo, e soprattutto della fame di cibo, sono percorsi affascinanti che evocano angosce ancestrali e la capacità di governarle, atto indispensabile a salvaguardia le pietanze e i tempi, non solo di cottura.
Chi scriver invit a pigliare con moderazione questa conclusione, evitando analogie frettolose con la prima parte dell’articolo. Tuttavia, qualcosa che scorre sotto esiste, e se esiste forse è proprio in quell’atto pubblico che diviene pubblicità di un ordine di lavoro e di vita, selezionato e disciplinato, che gratifica il corpo di coloro che, con quel corpo stesso, vi lavorano e appartengono.
Per tutti gli altri, di gratuito, c’è solo lo spettacolo.