Di Paolo Ceccato
Nascere e morire, siam capaci tutti. Risorgere, un po’ meno.
Scriveva il pirotecnico Leo Longanesi: “Alla manutenzione, l’Italia preferisce l’inaugurazione”. Beh, non solo l’Italia. Tutta la nostra epoca è poco pasquale e molto natalizia. Non amiamo le risurrezioni. Preferiamo il nuovo. E, infatti, Pasqua non se la fila nessuno; nessun marketing se l’è presa e sponsorizzata. Non la Coca-Cola, con il suo babbo natale; non Halloween, con i suoi scheletri ambulanti.
Pasqua non piace al consumismo, perché rigenera, invece di comprare. Pasqua non butta via niente: ridà nuova vita. È la festa del ri- prefisso iterativo, dell’itera e reitera, del riusare, riciclare, ma anche ritornare, rifiorire, cadere e rialzarsi. Pasqua ci ricorda che ce n’è ancora, che non è finita, ma si ricomincia, sempre e ovunque,
E poi, nella Pasqua, è fantastico anche il computo del giorno. Quel dover osservare la Luna, per calcolare quando cade la domenica di Pasqua, che cambia ogni anno, perché segue le rivoluzioni del cosmo e non i numeri del calendario. Pasqua festa mobile, dunque, nomade, che si muove nel tempo e nello spazio. Pasqua (pisḥā) “passaggio”, ma anche pascolo (pascua), per la gita fuori porta.
Sì, viva la Pasqua, buona Pasqua e buoni pascoli, lasciamoci gli agnelli a saltellare, e festeggiamo in altro modo, risuscitando, che so: un abito dismesso da rindossare; un libro da rileggere, che non è leggere, ma rileggere, cioè tutto un’altra parrocchia; celebriamo il ri-, prefissiamolo davanti a qualcosa, qualunque cosa: ritorniamo, riscopriamo, riutilizziamo, ricordiamo, ripetiamo… passiamo davvero oltre. Opplà.