Di Paolo Ceccato
Un mio amico, talvolta, mi lascia delle lettere, scritte con la stilografica, nella cassetta della posta.
Pubblico l’ultima ricevuta, tanto il mio amico mai lo saprà, privo di qualsiasi protesi digitale. Queste lettere sono sempre prive di
convenevoli, saluti, firme etc. I corsivi seguono le originarie sottolineature.
Ecco il testo.
“Divulgare, ovvero: di(s)-, prefisso latino per “dispersione, separazione, opposizione”; e vulgare, propriamente: “diffondere presso il volgo”, che si attesta anche nella accezione divolgare.
E dunque, se così, nel divulgare c’è la volgarizzazione di un messaggio, ma anche il disperdere qualcosa di composto, unito, cioè farlo a pezzi (di giornalismo?),
traducendolo, appunto, in qualcosa di volgare.
Ti dirò: gli amati e televisivi divulgatori, io credo essere loro la causa di molti nostri guai. Credo che proprio la loro opera di divulgazione, cioè di volgarizzazione, abbia ridotto e riduca in pezzi cose come la medicina o la scienza, o meglio, il discorrere di medicina e di scienza, riducendo tutto a uno dei tanti spettacoli che unicamente rispondono alle leggi dello spettacolo, quelle leggi che regolano le nostre odierne relazioni sociali, declinate al pubblico sotto le tanto rassicuranti quanto mentite spoglie di coriferi della scienza (qui una
goccia di pioggia ha dilavato l’inchiostro, ma la parola dovrebbe essere proprio coriferi o corrieri, qualcosa di simile).
Il valore comunicativo della divolgazione è ridurre tutto alla semplicità, per meglio ottenere ascolto. Da parte sua, il divulgatore riesce là dove il cosiddetto scienziato fallisce: eliminare il dubbio congenito, il principio di precauzione, la contraddizione, il rovescio della medaglia, sì, insomma, hai capito, trasformando un metodo in fede.
Cioè la ricerca in adesione.
Un giorno qualcuno racconterà, spero, la funzione dell’adesivo nella società dei consumi. Questo perché è di fede, oggi, che abbiamo bisogno, essendosi resa vacante la sede preposta, con città del vaticante. E il tutto funziona, eccome se funziona, funziona benissimo, e non può non funzionare, date le premesse su cui la divolgazione conta, ovvero un pubblico sempre più passivo e acritico, sempre più invitato ad ammirare la luna, come ripeti sempre tu, invece di prestare attenzione anche al dito che la indica.
Il divolgatore è lo scienziato perfetto che elimina la fatica, elimina le
contraddizioni e i costi, la reazione uguale e contraria che ogni azione comporta, offrendo così una versione “responsive” della verità, adattabile al pubblico e allo schermo cavernicolo.
Ed è giusto che sia così, perché l’obiettivo del divolgatore non è far progredire la ricerca, ma compiacere il consumatore, spiegandogli esattamente ciò che vuole, cioè la piena soddisfazione, senza sensi di colpa né sudore.
Il che era facile ottenerlo, un secolo fa; ma poi col novecento tutto si è incasinato (sic) e allora è entrato in scena il divolgatore scientifico, l’unico che ancora riesce a narrare la scienza con l’entusiasmo di un fanciullo, senza mai uscire della linea editoriale, senza mai sbandare, o superare i confini di quella zona di confort che il sistema provvede ad offrirci sotto forma di immaginario culturale di origine controllata.
E allora, “Maledetti divolgatori”, per parafrasare il titolo in italiano del saggio di Tom Wolfe, sì, maledetti divulgatori, sacerdoti della nuova fede.
L’immagine di copertina è una bellissima pubblicità della società svedese di energia elettrica Vattefall, uscita nel 2007, se non sbaglio, che merita di essere citata.
Bravissimo il copy, che ha scritto un titolo di grande efficacia: “Le parole vuote aggiungono solo CO2”, ironizzando sul gas da noi emesso quando respiriamo e, dunque, parliamo. Pronunciare frasi rilevanti è così la prima responsabilità nei confronti dell’ambiente. Messaggio perfetto, soprattutto perché non
immediato, ovvero perché richiede un po’ di attenzione, per comprenderlo. Bravi.
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