Eccole, arrivano. Puntuali, già inarrestabili, precedute da genieri che misurano, tracciano, scavano, posizionano. Sono le armate di ombrelloni e lettini che, con impeccabili geometrie, si schierano e distendono sulle spiagge, occupandole, ogni anno, a inizio stagione, quella turista. A perdita d’occhio. E ogni più minuscola forma di vita vegetale viene eradicata, strappata, senza pietà cancellata, per una chirurgica bonifica devitalizzante della superfice occupata.
Uno tale spiegamento che, a chi qui scrive, ricorda i castra delle antiche legioni romane, manipoli e coorti schierati e acquartierati in perfetto ordine, migliaia di aste alzate e scudi e insegne e colori, ieri di reparti e appartenenze, oggi di hotel e stabilimenti balneari. Armocromia a parte, la tecnica di occupazione è la stessa, altrettanto cruenta, tanto da non ricordarci neppure perché lo sia, ovvero che “spiaggia” è un ambiente naturale ricchissimo di vegetazione, specie pioniere, stupefacente fisiologia, per sopravvivere a concentrazioni saline per niente ospitali, no, e comunque più di noi, che ogni singolo filo d’erba spuntato eroicamente sulla spiaggia estirpiamo e spianiamo ogni duna retrostante, naturale barriera ad acque ed erosione. Via tutto.
Quadrati perfetti di ombrelloni e lettini tracciano ora corridoi rettilinei e diagonali, dipende dal punto di osservazione, e dividono e suddividono la spiaggia in metri altrettanto quadrati, posti pòsti a pagamento, pronti a ospitare tonnellate di carne e creme solari, ansiose di rosolarsi al sole, sguardi che si incrociano, desideri sessuali immaginari, qualcuno andrà a segno, bambini che urlano, si perdono e si ritrovano, città e lavori a centinaia di chilometri, già dimenticati. Vacanza.
Eppure, c’è qualcosa più lì che altrove; lì, in quel metro quadro di perfetto anonimato, perduto tra migliaia di anonimati, in cui ci si può sentire veramente soli sub soli; in quel metro quadro che per pochi giorni diventa il proprio e familiare metro quadrato, un punto significante nell’insignificante universo di granelli di sabbia, a suo modo già esclusivo, perché inaccessibile alla società dello spettacolo, celebrities, vip, campioni e bilionari; felicità quantizzata offerta in pacchetti discreti e contiui di tempo e spazio, che non si consumano mai; metro quadro che ogni mattina viene ricondizionato ripulito pulito e ordinato, esattamente come la stanza d’albergo, ogni mattina è sempre la prima mattina, intonsa, che si ripete sempre uguale a se stessa, eterno ritorno, la spiaggia rigata da pettini che livellano la superfice restituendola all’originaria verginità devitalizzata ed emendata da ogni traccia e imperfezione del giorno prima. Stessa spiaggia, stesso mare. Ecco, cosa c’è, oggi, di più ameno e a meno di tutto questo? E di più vero?
Stiamo ben attenti a non guastare questa perfezione more geometrico demonstrata, inseguendo l’illusione di qualcosa di più. Lasciateci il nostro metro quadro così com’è, senza promettere paradisi artificiali e artificiosi e senza illuderci che sia qualcos’altro, che non esiste più.
Grazie.