“Se i popoli si conoscessero meglio, si odierebbero di più”.
La frase, fulminate, è di Ennio Flaiano (1910-1972), una di quelle sparpagliate nei suoi saggi, appunti e taccuini. Poche parole che spesso sono romanzi compiuti. Questa, qui citata, pesantissima nella sua arguzia, ha il pregio di rovesciare l’affollato luogo comune che vede, nella reciproca conoscenza tra i popoli, la risoluzione di tutte le conflittualità.
Beh, la conoscenza è una relazione. Relazione deriva dal latino referre, riferire, cioè conoscere qualcosa di qualcuno o qualcos’altro, creando una connessione con esso.
Ora, suggerirebbe Flaiano, più questa conoscenza si approfondisce, più la relazione diventa complicata. Il che, a rifletterci su, non fa una piega. Il “prossimo nostro” lo testimonia: più si conosce l’altro e più la relazione si e ci vincola. Le Corbusier concepì i condomini forse col Vangelo; le assemblea condominiali ce li restituiscono sicuramente con l’Antico Testamento.
Esotico, deriva da ἔξω “fuori”. L’esotico industriale è un luogo lontano da casa nostra dove soggiornare esattamente come a casa nostra. Si chiama turismo.
Ed è piacevolissimo uscire dalla nostra rete di relazioni consunte dalla gravosità quotidiana, per entrare in un insieme di relazioni studiate e servite per noi, più paghi e più sono perfette, snelle, fasulle, superficiali, bellissime come fiori recisi che non possono mettere radici. Nel bene di consumo, il bene del consumo sta nel consumarsi in breve tempo. Voli low cost per ripartire subito. Ammirare tutto, conoscere nulla.
“Il turista – così scrive Flaiano – è un essere che non rimane ferito da ciò che vede”. E la definizione non potrebbe essere più precisa.
E fin qui, nulla di male, anzi.
Il pericolo, forse, sta nel voler trasformare il turismo in un programma politico.
Nei decenni tra ottocento e novecento ci fu la più imponente migrazione di uomini della storia, il dinamismo sembrava inarrestabile. Dal congresso di Berlino in poi, si visse un periodo di pace senza precedenti. “Se a Londra, alle nove del mattino, qualcuno decideva di recarsi a Roma o a Vienna, poteva partire alle dieci senza passaporto o assegni bancari, ma soltanto con una sacchetto di sterline in tasca”, così lo storico britannico A.J.P. Taylor.
Niente barriere né confini, la convertibilità del denaro era totale.
Alla fine, scoppiò la Prima Guerra Mondiale, che si chiamò, appunto, prima e mondiale perché fu la prima guerra dell’era dell’economia globalizzata.
Forse i popoli, anche allora, si conobbero meglio, cioè troppo.