Di Leo Longanesi
A cura di Paolo Ceccato
L’Italia è uno strano Paese povero che spende moltissimo per allargare la propria miseria. Ed è questo il suo lusso.
Se fossimo ricchi, forse spenderemmo meno; ma non saremmo tanto ottimisti; ci toccherebbe spendere di più per curare la malinconia di chi è costretto a vivere in una società ordinata.
La nostra ricchezza è il disordine, ed è anche, nello stesso tempo, la nostra miseria. Una qualità negativa che si compensa da sola in cento modi: con la varietà dei mestieri, con la tolleranza del cattivo prodotto, con la scarsa fiducia nello Stato e con la prepotente volontà di non morire di fame. Questa drammatica situazione, tuttavia, pone gli italiani nella privilegiata condizione di non permettere il consolidarsi di alcuna classe. Essi realizzano la vera democrazia, la più ardita e libera del mondo. Perché nulla qui dura; tutto è provvisorio e nessuno è in condizioni troppo diverse da quelle del vicino di casa. Esistono varietà di consumo, di privilegi, di proprietà, spesso di apparenze profonde, ma in realtà fra il morto di fame e il miliardario non vi è quella distanza che a prima vista si può supporre. L’uno e l’altro, in qualsiasi momento, possono invertire la posizione loro senza con ciò recar danno alla società, perché essi sono simili; entrambi di passaggio, senza radici, appoggiati su nulla, felici e infelici delle stesse cose. I piaceri e i dispiaceri che essi provano a tavola non variano di molto, e le idee e i gusti di cui sono servi non variano gran che.
La miseria, tuttavia, è ancora l’unica forza vitale del Paese e quel poco o molto che ancora regge è soltanto frutto della povertà.
Bellezze dei luoghi, patrimoni artistici, antiche chiese, antichi paesi, antiche strade, antiche parlate, cucina paesana, virtù civiche e specialità artigiane sono custoditi soltanto dalla miseria. Dove essa è sopraffatta dal sopraggiungere del capitale, ecco che si assiste alla completa rovina di ogni patrimonio artistico e morale. Perché il povero è di antica tradizione e vive in una miseria che ha radici in secolari luoghi, mentre il ricco è di fresca data, improvvisato, nemico di tutto ciò che lo ha preceduto e che l’umilia. La sua ricchezza è stata facile, di solito nata dall’imbroglio, da facili traffici, sempre, o quasi, imitando qualcosa che è nato fuori di qui. Perciò, quando l’Italia sarà sopraffatta dalla finta ricchezza che già dilaga, noi ci troveremo a vivere in un Paese di cui non conosceremo più né il volto né l’anima.
Leo Longanesi, La sua signora, 1957.