Uno dei miti più noti, e citati, è senz’altro il mito della caverna, del filosofo greco Platone (Atene, 428 o 427 – 347 a.C.).
“Dentro una dimora sotterranea a forma di caverna, con l’entrata aperta alla luce e ampia quanto tutta la larghezza della caverna, pensa di vedere degli uomini che vi stiano dentro fin da fanciulli, incatenati gambe e collo, sì da dover restare fermi e da poter vedere soltanto in avanti, incapaci, a causa della catena, di volger attorno il capo”*.
Alle spalle degli incatenati, invisibile a loro, c’è un fuoco e un muretto su cui burattinai muovono delle marionette, le cui ombre sono dal falò proiettate sul fondo della caverna, l’unica “realtà” che gli uomini rinchiusi e incatenati possono vedere, inconsapevoli che fuori di lì c’è il sole e il mondo.
Un’allegoria simile, ma di tutt’altro significato, come vedremo, si trova in un quadro di Giandomenico Tiepolo, del 1791. Nell’opera, intitolata Mondo Novo**, viene ritratta una scena in cui molte persone s’ammassano e “fanno la fila” per guardare, attraverso un buco, un cosmorama animato dentro un casotto, imboniti dalle parole di un ciarlatano, che ne illustra le meraviglie.
La differenza con il mito della Caverna di Platone sta in questo: nell’allegoria del Tiepolo le persone non sono fisicamente incatenate e costrette a guardare, ma sono libere e in una pubblica piazza; eppure, debitamente spronate dal ciarlatano, si accalcano l’una sull’altra, spingendo per raggiungere il buco e guardare lo spettacolo, proiettato dentro il casotto.
Dalla sopraddetta differenza, ciascuno tragga la dovuta conseguenza.
*Platone, La Repubblica, Laterza, 1984 (trad. di Franco Sartori).
**Giandomenico Tiepolo, Mondo Novo, 1791, (ca’ Rezzonico, Museo del 700 veneziano, Venezia).
P.S. Imbonitore o ciarlatano, attore dello spettacolo che si è oggi trasformato, dietro i modi della gentilezza e dell’osservanza ligia, in un accompagnatore che ci guida, con sorriso e fermezza, verso una più confortevole schiavitù. Dove, per altro, staremo benissimo.