Puzze

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Il latte, in stalla è pagato 50 centesimi al litro, ma viene venduto anche a più di 2 euro nei supermercati“.
Su un prodotto per il quale noi abbiamo il 4-5% di guadagno loro (la Grande Distribuzione Organizzata, ndr) riescono ad avere il 50%“.
Affermazioni, lette o ascoltate, di questi giorni. Niente di nuovo, certo.
La domanda, tuttavia, è: perché questo squilibrio? Cosa giustifica, e rende a noi accettabile, il consistente rincaro che supermercati e GDO applicano sugli alimenti, quando arrivano sui loro scaffali?

Quante volte per l’intollerabile puzzo e fetore fui per isvenire“.

Così scrive il parroco bolognese Giulio Cesare Luigi Canali, nel 1763; in quei tempi puzze e fetori, miasmi intollerabili, accompagnavano la vita quotidiana di tutti, anche, se non soprattutto, nelle città. Un secolo prima, nel 1662, l’economista e medico William Petty raccontava che a Londra i ricchi signori spostavano “sopravento” le loro residenze, cioè traslocavano dalla City verso ovest, verso Westminster, per fuggire dagli insopportabili fetori dei quartieri popolati, soffiando il vento perennemente da ovest.
Ecco, puzze, fetori e miasmi. L’odorato era, in quei secoli, un senso decisamente più sollecitato di quanto lo sia oggi.
Nel 1416, il re di Francia Carlo VI di Valois dispone che i macelli siano spostati extra muros, cioè fuori dalle mura delle città*. Sì, perché ai tempi vigeva una consuetudine: i cittadini dovevano controllare, con i propri occhi, gli animali giungere al macello sani, integri e sulle loro zampe, prima di acquistare la loro carne. E per questo, i mattatoi venivano collocati nel centro delle città, là dove tutti potevano vedere e dove tutto accadeva pubblicamente. Secoli dopo, nel 1810, un altro francese, l’imperatore Napoleone Bonaparte, banditi i cimiteri La morte, la nostra e quella per cibarsi, fu così allontanata dai nostri occhi e dal nostro naso. Da lì a oggi, il consumatore, termine sorto nel XII secolo, non sa più cosa mangia e deve fidarsi degli altri, ad esempio del sistema veterinario. Perché da zoofagi siamo diventati tutti sarcofagi: cioè da mangiatori di animali siamo diventati mangiatori di carne, una carne “disanimalizzata”, anonima, confezionata e inodore. Fetori, miasmi e puzze sono svaninite; al loro posto, il cittadino consumatore trova ambienti puliti, inodori, igienizzati, senza sangue né lamenti dei macelli; non più animali, ma confezioni colorate. Ecco, è questo il compito del supermercato: togliere l’odore, letame, urina, sudore, muri umidi, polveri cerealicole, occhi strabuzzati che ti guardano, il tacchino a cui tirare il collo, o il ciuffo di insalata sporco di terra da cui ti spunta a casa un bel verme.
Tutto questo, nel supermercato, non c’è. Perché il supermercato è il formato con cui la campagna viene oggi servita al consumatore. Una campagna de-materializzata, immaginaria, lontana, ridotta a mero luogo fotografico di rappresentanza, sostituita, nei fatti produttivi, dal laboratorio dove si creano e igienizzano i cibi e le bevande.
Una volta, il contadino coltivava la terra e allevava il maiale; oggi, il nuovo contadino in camice bianco coltiva il maiale e alleva la terra. Dettagli. Per noi cambia nulla, perché il nostro riferimento non è più la terra, ma l’etichetta del prodotto. Sì, forse c’è meno gusto nel mangiare; ma c’è molto, moltissimo più gusto nel comprare. Vuoi mettere?
Ebbene, questo ruolo del supermercato, fondamentale per il nostro naso, quanto vale? Vale il 50% di guadagno? Sì? No? Sta a noi deciderlo.
Perché è per tutto questo che noi paghiamo di più la GDO e di meno l’agricoltore, anche lui, con l’odore della terra, ridotto a comparsa, figura di sfondo, tra i campi, da colorare con i pennarelli, più nostalgica che utile.
Certo, si può fare a meno di tutto ciò e tornare a produrre noi quel che mangiamo. Non è difficile. Ma bisogna metterci in mezzo il nostro corpo e, con esso, il nostro naso, perché ci si sporca di più.
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*”Bisogna decidersi: o è prioritaria la qualità della carne, sotto controllo del pubblico, e in questo caso si lascia il mattatoio dentro le mura, o i macelli sono considerati focolai di infezione, e in questo caso si impone il trasferimento fuori città. Il pensiero dell’amministrazione reale, dopo Carlo VI, va nel senso di questa attenzione pre-areista”.
Madeliene Ferrières, Storia delle paure alimentari, dal medioevo all’alba del XX secolo, Editori Riuniti, 2004 (© 2002).

**Le due date, 1416 e 1804, decretarono una decisa svolta dell’Occidente verso l’era moderna dei consumi (opinione di chi qui scrive). Transizione che, per sua stessa natura, richiedeva di allontanare l’umano essere-per-la-morte e l’equazione mangiare=uccidere. Con la svolta, il pasto diviene gratis e il pensiero spensierato. Certo, con qualche incidente di percorso, ma la strada è segnata per arrivare ai centri commerciali.

***A proposito di cittadini consumatori, non si può negare che ci sia una certa ironia nel presente quotidiano appello a “non consumare”. Appunto. Nei secoli, sì, ci siamo trasformati da produttori a consumatori, vincolati in spazi di consumo sempre più imposti, e proprio in tal veste di consumatori oggi siamo chiamati a “non consumare” risorse, energia, terra, acqua etc. La contraddizione è, tuttavia, apparente, perché, in realtà, il cittadino consumatore è chiamato a consumare i nuovi prodotti che non fanno consumare, ad esempio: l’auto elettrica. E quando ci sarà un’auto che consuma ancora meno, allora noi, in quanto cittadini consumatori, dovremo sostituire l’auto che possediamo con la versione che consuma meno. Abbiamo cioè inventato il consumo per non consumare.
Il che, va scritto, ha una suo genialità.

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