di paoloceccato
“L’industria culturale ha la capacità di rendere comprensibile la dimensione esterna, chiamiamolo mondo, come primo servizio al cliente“**.
M. Horkheimer e T. Adorno, Dialettica dell’illuminismo, 1947.
Sì, d’accordo, andiamo un po’ sul pedante, però la frase qui sopra è di quelle che, come si dice, illuminano. In breve: l’industria culturale è quell’industria che ci fornisce, tra gli altri prodotti, il significato del mondo come ci appare, e quindi della nostra vit. Il prodotto dell’industria culturale, dunque, siamo noi già con un’esperienza piacevole del mondo, appagati, soddisfatti e sollevati dalla fatica di comprendere da soli ciò che ci circonda. In breve, è tutto quello che sta a monte dei nostri “Mi piace”, “Mi sarebbe utile”, “Interessante” etc. Non occorre rifletterci sopra: è già tutto compreso. Non si può fallire.
Nulla da dire: è un servizio al cliente con i fiocchi.
Beh, è sicuramente più conveniente predisporre la nostra percezione del mondo, appunto a monte, per così dire, anzi scrivere, piuttosto che cambiare il mondo. E questo si può ottenere con un’azione persistente e pervasiva, così da consegnarci il prodotto-mondo facilmente comprensibile e già con le istruzioni per l’uso, per una vera e appagante esperienza di esso.
Il viaggio della vita diventa così un piacevolissimo viaggio organizzato, e organizzato, ecco il punto, esattamente come noi lo desideravamo ( i nostri desideri sono compresi nel prodotto-mondo). La differenza tra tempo occupato e tempo libero diventa puramente formale, perché nella sostanza non è libero né il tempo occupato né quello definito libero.
Il vantaggio commerciale portato dall’industria culturale sta nel fatto che la comprensione del mondo, quale suo prodotto, può essere cambiata per adattarsi al mercato. Ad esempio, all’apparire di nuove offerte, che so, una nuova tecnologia, la nostra comprensione del mondo può essere prontamente aggiornata affinché quella tecnologia diventi desiderabile e indispensabile per la nostra vita.
L’industria culturale è il compimento delle rivoluzioni industriali: se queste hanno ottimizzato il sistema di produzione, cioè l’offerta, l’industria culturale produce la domanda, trasformando in un prodotto la nostra comprensione di ciò che ci circonda, cioè cosa fare di esso e in esso. Risultato: produrre un mondo che si apre a noi semplicemente acquistando i prodotti indicati.
Che poi altro non è di quel che dichiarò Wiston Churchill: “The empires of the future will be the empires of the mind“.
E detto da loro, c’è da crederci.
*”I am not in the business, I am the business” , da Blade Runner, regia di R. Scott, 1982.
**Per onestà di cronaca, la citazione senza tagli è la seguente: L’industria culturale “attua e mette in pratica lo schematismo (lo schematismo trascendentale kantiano, ovvero la capacità di rendere comprensibile la dimensione esterna, chiamiamolo mondo) come primo servizio al cliente“. (Einaudi, 1997, trad. di Renato Solmi).